Ottobre 2008
“Ci sono periodi di 30 anni che passano con l’importanza apparente di un giorno solo e singoli giorni con l’importanza di 30 anni.„
(vecchia massima marxista)
(Nota: Al fine di evitare di reinventare la ruota e sotto la pressione dei recenti eventi epocali, ho usato frammenti di altri testi da me scritti in questi ultimi anni, non componendo nient’altro che il 15-20% dell’articolo che segue. Chiedo la pazienza del lettore per l’eventuale disturbo.)
Dato l’interesse degli eventi dei 14 mesi scorsi di “sgretolio del credito”, molta gente (me incluso) a volte tende a trascurare le radici “più profonde” di questa crisi nella produzione e nella riproduzione. L’analisi di una crisi creditizia nei mezzi di comunicazione tradizionali adesso è diventata quasi banale. Ma come marxisti noi sappiamo che, se mai, raramente c’è una crisi “pura” del credito senza una dimensione più profonda nel processo materiale della riproduzione ( ).
Ricordiamo tre fasi di Hegel dell’introduzione di una nuova idea: 1) silenzio totale e indifferenza 2) grandi ostilità e censura 3) “questo è ciò che abbiamo sempre creduto”.
È stupefacente vedere come i media sono andati in un anno e mezzo da 1) a 3), a mala pena arrestandosi a 2), un passatempo marginale durante gli ultimi 30 anni quando si tratta con “gli scettici”. Improvvisamente la parola “capitalismo” è riapparsa nella discussione popolare dopo decenni di eufemismi quali “economie di libero mercato” ed il contributo di Barack Obama ai voluminosi prestiti del governo di Wall Street è attaccato come “socialista” quando in effetti non è niente altro che il vecchio ritornello capitalista “privatizzazione del profitto, socializzazione dei costi”.
L’attenzione montante dei media sta orientandosi sulle difficoltà delle “società non finanziarie” nell’ottenere prestiti mentre il credito si stringe e si asciuga. Ci si domanda, tuttavia, che cosa esattamente questo può significare dato che tali società “non finanziarie” tipo GM, Ford e General Electric stanno realizzando profitti sempre più grandi nelle attività finanziarie.
Data la pletora sempre crescente della finanza e dei mercati finanziari nel capitalismo dagli anni ‘70 e la profonda falsificazione ideologica da parte delle statistiche capitalistiche ufficiali a tutti i livelli, le informazioni serie sull’economia “reale” sono più dure da ottenere da quando (come esemplificato dal rovescio finanziario di questi ex pilastri della produzione statunitense) una dimensione fittizia è presente praticamente dappertutto.
Vorrei comunque proporre la mia personale interpretazione degli eventi per stimolare un certo dibattito.
I. UN CAPITALISMO IN AVANZATA FASE DI DECLINO
Ci si lasci in primo luogo abbozzare la situazione del credito generale e finanziaria, per riprenderla dal di fuori di questo percorso. (La maggior parte dei dati seguenti risale al 2005; Presumo che molti di questi ora stiano alterandosi giornalmente a causa del tracollo deflazionistico tuttora in corso).
Nell’economia degli Stati Uniti ci sono più di 33 trilioni di $ nel debito insoluto (federale, statale, locale, aziendale, personale), tre volte il P.I.L. [Nessuno conosce quanta parte è vincolata negli hedge funds (fondi a gestione alternativa) e nei derivati internazionali]. Lo stato (includendo i livelli federale, statale e locale) consuma il 40% del P.I.L.
Il debito netto degli Stati Uniti all’estero è approssimativamente di 5 trilioni $ (13 trilioni di $ posseduti dagli stranieri meno 8 trilioni di $ in possedimenti degli Stati Uniti all’estero-2008-LG). Tale ammontare sta sviluppandosi da 700-800 miliardi di $ all’anno fino a tempi molto recenti (prima del declino del dollaro e del consumo negli Stati Uniti e dei movimenti di capitale che arraffano beni deprezzati in America, il deficit commerciale degli Stati Uniti e della bilancia dei pagamenti progrediva generalmente). Gli stranieri detengono una percentuale crescente del debito del governo degli Stati Uniti; le quattro principali banche centrali asiatiche (Giappone, Cina, Sud Corea, Taiwan) detengono da sole 4 trilioni di $ (2008). (Il salvataggio recente – e come è evidente già da tanto tempo fa – di Fannie Mae e di Freddie Mac è stato intrapreso innanzitutto con il patrimonio di 500 miliardi di $ della Cina del debito pregresso di Freddie e di Fannie). È il debito del governo federale che rende possibili le azioni reflazioniste della Federal Reserve Bank. Se la nozione di Doug Noland di “capitalismo dell’arbitrato finanziario” ( ) è giusta, la vecchia concettualizzazione essenziale del ruolo del sistema bancario (depositi e prestito basato sui depositi) e la capacità (apparente) della Fed con esso di espandere e di contrarre la disponibilità di credito viene a cadere; gli importi crescenti di credito “virtuale” sono generati dalla “finanza garantita”, “fuori bilancio”, delle banche. Si devono anche considerare gli enti collegati al governo (Freddie Mac, Fannie Mae), che hanno appoggiato la reflazione dei debiti ipotecari dei 4 anni scorsi, con conseguente incredibile bolla immobiliare, che adesso sprofonda. Questo intero edificio dipende 1) dalla bassa inflazione negli Stati Uniti, dato che una più alta inflazione spaventerebbe i prestatori stranieri; 2) dalla disponibilità degli Stati Uniti, “consumatori”, ad indebitarsi sempre più pesantemente (con un servizio di debito che ora si prende il 14% dei redditi, invece dell’11% di alcuni anni fa) 3) la disponibilità e capacità degli stranieri di andare avanti rifinanziando i deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti di nuovo agli Stati Uniti.
Spostiamoci ad un altro livello complessivo: l’ampiezza del lavoro improduttivo e del consumo improduttivo negli Stati Uniti e in molte altre economie “avanzate” (avanzate principalmente nel declino). Marx definisce il debito di stato come fittizio; definisce di lavoro effettuato contro reddito (in opposizione al capitale) come improduttivo ( ). Molti marxisti sarebbero d’accordo che la spesa militare effettuata con il reddito dello stato è lavoro improduttivo, anche se produce un profitto per un singolo capitalista. Si può estendere tale paradigma, io penso, molto oltre in termini di altri beni e servizi ordinati dal reddito dello stato e/o dal capitale fittizio del debito di stato. Per essere consumato produttivamente, il plusvalore, che è concretamente mezzi di produzione (sezione I) o mezzi di consumo (sezione II), deve RITORNARE a C o a V per ulteriore riproduzione ampliata; secondo questo criterio, apparirebbe che il consumo improduttivo nell’economia degli Stati Uniti dovrebbe essere enorme.
Voglio evitare le diatribe teologiche su cosa esattamente costituisce lavoro improduttivo facendo riferimento al metodo sviluppato da Marx che ci permette di afferrare la grande quantità di consumo improduttivo nel capitalismo moderno:
“L’accumulazione richiede la trasformazione di una parte del plusprodotto in capitale. Ma non possiamo, tranne che per un miracolo, trasformare in capitale qualunque cosa bensì quegli articoli che possono essere impiegati nel processo lavorativo (cioè mezzi di produzione) ed altri articoli adatti alla sussistenza dell’operaio (cioè mezzi di sussistenza)… in una parola, il plusvalore può essere trasformato in capitale soltanto perché il plusprodotto, di cui esso è valore, contiene già le componenti materiali di una nuova quantità di capitale.”
(dal Capitale, volume. I (pp. 726-727, traduzione Penguin, 1973):
In altre parole, gli aerei bombardieri senza equipaggio, i carri armati, l’equipaggiamento antisommossa della polizia, gli yacht, le Rolls Royce, i ristoranti gastronomici e le borse di Louis Vuitton possono ben produrre un profitto per un capitalista individuale, ma diversamente dai mezzi di produzione di merci largamente utili (che Marx denominò “I sezione”) e mezzi di consumo (per esempio macchine per fare i frigoriferi) o che producono tali merci (sez. II: rendiamolo semplice: pane) essi CESSANO DI ESSERE CAPITALE cadendo fuori dal circuito del capitale nella riproduzione ampliata; essi non possono essere consumati produttivamente o come ulteriori mezzi di produzione o come mezzi di consumo per la riproduzione della forza lavoro. Tali prodotti costituiscono il consumo improduttivo della classe capitalista e di quella classe di “servi” – funzionari civili, burocrati aziendali, ecc. – negli immensi eserciti (comunque si voglia definirli) dei lavoratori improduttivi nell’odierna (ideologicamente motivata) “economia di servizio”.
Dobbiamo stare attenti a distinguere un’analisi marxiana del capitale fittizio dalle innumerevoli teorie di monetaristi, hayekiani, “banchieri che governano il mondo”, teorici della cospirazione o del sofisticato keynesiano di sinistra Hyman Minsky, tutti coloro che vedono la finanza isolatamente, collegando strettamente il capitale fittizio alla propria origine nella sfera della produzione. Possiamo denominare questa origine “svalorizzazione tecnologica” o incremento di capitale fisso sopravvalutato “f”che si sviluppa oltre il tempo dovuto fino all’eteronomia dei rapporti sociali capitalisti. Il capitale per i capitalisti significa in primo luogo una “capitalizzazione” ( ) di un atteso flusso di denaro. L’effetto di svalorizzazione degli progressi nella produttività sta insidiando costantemente quella capitalizzazione ( ), ma in un senso che è soltanto completamente apparente in una crisi di collasso deflazionistico come quella corrente. Nel corso di un ciclo capitalista, i provvedimenti pratici della banca centrale per rallentare lo scoppio di questa bolla fittizia d’altra parte devono in definitiva mostrarsi impotenti contro il movimento di fondo dei prezzi in discesa ( ).
Tale concezione rende assolutamente accademica (se una ulteriore prova fosse necessaria) la maggior parte della forte diatriba marxista sul “problema della trasformazione” “prezzo-valore” degli anni ‘70 e degli anni ‘80. Poiché, nel corso di lunghi intervalli di tempo, il prezzo di mercato di un capitale individuale non corrisponde direttamente al costo sociale della sua riproduzione, ma piuttosto a questa capitalizzazione, in un ambito regolato dal tasso di profitto generalmente disponibile. I titoli capitalisti – diritti cartacei alla ricchezza, consistenti in profitto, interesse e rendita fondiaria – possono circolare a lungo senza rapporto immediato col “valore” finché importi sufficienti di plusvalore provenienti da qualche parte li sostengono. Questo plusvalore può venire non soltanto dallo sfruttamento diretto degli operai nella produzione ma dai contributi “liberi” che coinvolgono sia l’accumulazione originaria (inclusione di forza lavoro riprodotta da altri modi di produzione) sia dal saccheggio completo, cioè la non-riproduzione della natura, della forza lavoro attuale e degli impianti capitalisti. Questi sono problemi pratici che non possono essere risolti col ricorso alle esercitazioni con tabulati algebrici ( ).
Pertanto la “crisi creditizia” del dopo luglio 2007 di fatto è radicata in un lungo processo nel ciclo capitalista della produzione e riproduzione degli ultimi decenni su cui adesso ritorniamo.
II. IL CAPITALE ARRETRA A SPIRALE PER RISOLVERE LE SUE CRISI
In primo luogo, un po’ di storia, per afferrare l’enormità della REGRESSIONE sociale ed economica dei tre o quattro decenni passati.
Questa crisi può essere rintracciata alla fine del boom della ricostruzione del II dopoguerra mondiale, contrassegnata da lievi recessioni nel 1965-66 negli Stati Uniti, in Giappone ed in Germania e ancor prima segnalata da una “crisi del dollaro” avviata nel 1958. Le proporzioni in quell’epoca, naturalmente, oggi sembrano ridicole in paragone alla situazione.
Nel marzo 1968, il sistema di Bretton Woods fu sul punto di fallire e gli scambi mondiali furono chiusi per parecchi giorni per impedire un panico ( ).
Un’autentica crisi di liquidità aziendale esplose negli Stati Uniti nel 1969-70, evidenziata dal fallimento della Ferrovia Centrale Penn (tra l’altro, un’eccellente illustrazione del rapporto tra la valutazione capitalista mediante “capitalizzazione” e il valore di fondo attuale dei beni) ( ). Il debito aziendale nel 1970 era (a quel punto) ai livelli record del II dopoguerra mondiale e l’investimento nella produzione “reale” stava già rallentando dalla profonda recessione 1957-58, o veniva sostenuto dalla produzione militare per la guerra nel Vietnam ( ).
A quel punto, entrando nella recessione del 1969-70, la liquidità aziendale era al centro delle preoccupazioni.
Voglio sostenere che da quei segnali degli ultimi anni ‘60 che indicavano la conclusione della precedente èra di avanzamento, il mondo capitalista è andato essenzialmente “girando a vuoto”, con sempre crescente credito piramidale di incredibili e senza precedenti proporzioni che diventa “il motore” principale dello “sviluppo”, pagato con una sempre crescente regressione sociale di ogni genere, che possiamo chiamare riproduzione sociale CONTRATTA, o non-riproduzione a scala mondiale.
È inoltre interessante notare che, secondo uno studio delle Nazioni Unite di parecchi anni fa, il 1968 segnò esattamente la svolta nella distribuzione del reddito del II dopoguerra mondiale nel mondo “capitalisticamente avanzato”; dal 1945 al 1968, il quinto più ricco della popolazione degli Stati Uniti ed il quinto più povero sono avanzati insieme avvicinandosi di più; dopo il 1968 essi hanno cominciato ad avanzare separatamente ed oggi sono più lontani gli uni dagli altri che nel 1929. Simili tendenze sono distinguibili, benché non in forma estrema, nella maggior parte delle altre economie capitaliste avanzate.
Un altro indice fondamentale della conclusione di un’èra è riassunto nel singolo “fatto” della scomparsa della singola famiglia della classe operaia salariata, che comincia negli anni ‘60 e si accelera da allora. Questo ci porta in un balzo al cuore della crisi come crisi di riproduzione sociale. Quaranta ore alla settimana circa nel 1960 hanno riprodotto milioni di famiglie di quattro, mentre oggi sono necessari ottanta o più (spesso sensibilmente di più).
Il sistema di Bretton Woods (standard dell’“oro-dollaro”) ( ) è sprofondato nel 1971-73 ed è stato sostituito dallo “standard dollaro” puro, per cui il debito statale americano è diventato apertamente l’àncora del sistema finanziario mondiale e tale rimane fino ad oggi.
Questa era un’espressione, al livello di quello che Marx chiamava “denaro mondiale” ( ), della crisi del valore operante in profondità nel sistema di produzione e riproduzione, su cui ritornerò.
La reflazione principale del 1972-73 provocò un’accelerazione inflazionistica e fu seguita dalla recessione mondiale del 1974-75, la più profonda (fino a quel momento) dalla II guerra mondiale. La reflazione fuori dalla recessione della metà degli anni ‘70 condusse allo scoppio inflazionistico del 1978-80, seguito dall’“austerità di Volcker” e dal trionfo del “neoliberismo” Thatcher-Reagan. Questa fu l’ultima (1975-79) reflazione keynesiana che va sotto quel nome, originata negli sviluppi dei tardi anni ‘70 come inflazione galoppante, Proposta 13 ( ) della California, prestiti americani di Chrysler, tagli di bilancio di Carter, e “inverno del malcontento” britannico precedenti il trionfo di Thatcher e di Reagan ( ). Dopo il 1979-80, il capitalismo si indirizzò verso quello che potrebbe essere chiamato “keynesismo militare”, con il riarmo militare e i tagli di imposta per il ricco.
Quando si discute sulla metà degli anni ‘70, non dovremmo omettere di notare lo slittamento apparente dell’egemonia degli Stati Uniti in una serie di crisi mondiali: le insurrezioni operaie in Spagna e Portogallo, la sconfitta militare in Indocina, l’apparizione dei regimi “filo-sovietici” nel corno d’Africa, l’insurrezione in Sudafrica, ancora regimi “filosovietici” nelle colonie ex-Portoghesi dell’Africa (Angola-Mozambico-Guinea Bissau) e l’apparente movimento di sinistra in Europa nel fenomeno dell’“euro-comunismo” (Francia-Italia-Spagna). Ulteriori focolai scoppiarono nelle rivoluzioni nicaraguese e iraniana dei tardi anni ‘70.
La contro-offensiva del “Washington consensus” sembrò annullare questo scivolamento dell’egemonia degli Stati Uniti e il suo “bilancio di esercizio” dovrebbe essere affrontato per una comprensione del suo costo umano. La socialdemocrazia e lo stalinismo fecero la loro parte di lavoro in Spagna e Portogallo incanalando la rivolta operaia nei canali democratico borghesi, ma nella maggior parte dei posti la reazione fu lunga e sanguinosa; dittature militari si stabilirono nel Cono Sud (Cile-Uruguay-Argentina, aggiunte a quella del Brasile che datava dal 1964) fra 1973 e 1976; la sfida più diffusa del “gruppo del 77” verso le Nazioni Unite dei paesi in via di sviluppo che esigevano cibo, combustibile e condono del debito mediante un “nuovo ordine economico internazionale” fu disinnescata; i vari “movimenti di liberazione nazionale” in Africa e in Indocina sprofondarono nell’ignominia e nel ristagno, o finirono rapidamente (come in Vietnam) “nel socialismo di mercato”; i mullah trionfarono nell’Iran, eliminando la sinistra e mandando milioni fuori a combattere la guerra Iran-Irak del 1981-89; una guerra civile di quindici anni fra Sunniti, Sciiti, cristiani differenti ed i loro appoggi internazionali (Siria, Iran, Israele, Stati Uniti) rovinò il Libano; i soldi e la propaganda sauditi rifornirono di carburante i movimenti islamici dai Uighurs in Cina occidentale fino al Marocco; l’insurrezione islamica pilotata dagli Stati Uniti in Afghanistan abbatté il regime della sinistra nazionalista e l’esercito sovietico ed infine portò i Talebani al potere; la mortale stretta militare finanziata dagli USA portò la rivoluzione nicaraguese a sbandare; l’alleanza Stati Uniti-Cina contro l’Unione Sovietica si solidificò internazionalmente; Reagan, Thatcher, Mitterrand, Gorbaciov e Deng tutti d’accordo sulla superiorità del mercato; in seguito al crollo dei movimenti di “liberazione nazionale”, il FMI (fondo monetario internazionale) impose i suoi “programmi di riassetto strutturale” a 100 paesi in via di sviluppo. Il blocco sovietico implose nel 1989-1991. Le forze armate degli Stati Uniti uccisero centinaia di migliaia di Iracheni nella Guerra del Golfo del 1990-91. Dall’inizio degli anni 1990, quaranta guerre erano in atto intorno al mondo; la guerra delle sei nazionalità nell’Africa del Sud da sola uccise 4 milioni di persone, più di qualunque altra guerra dal 1945 (e non c’era anno senza una guerra da qualche parte dopo il 1945); nel vuoto lasciato dai “movimenti di liberazione nazionale” entrarono i quattro cavalieri dell’apocalisse apparentemente senza ideologia o obiettivo al di là della rapina, saccheggio e massacro in luoghi come il Congo, la Liberia e la Sierra Leone; l’ANC salì al potere in Sudafrica e rapidamente si unì al Washington consensus; le guerre iugoslave del 1990-95 e del 1999 videro la nascita dei nazionalisti omicidi e dei massacri etnici e offrirono agli Stati Uniti un’occasione per umiliare l’impotente Unione Europea; il “regno dell’eremita” di Kim Jong-il in Corea del Nord sovraintese la fame in uno degli ultimi “stati operai” ancora in piedi e da un capo all’altro del terzo mondo sei milioni di bambini muoiono ogni anno di malattie e in circostanze (per esempio mancanza di acque pulite) che hanno cause puramente economiche.
III. BILANCIO DEI TRE DECENNI DI “WASHINGTON CONSENSUS”
I 30 anni del “Washington consensus”, malgrado il suo trionfo sopra i regimi di sviluppo statalista, sono stati contrassegnati da “eventi finanziari”, ora eclissati dal “Big One” del 2007-8, eventi in cui lo stato apertamente diffamato ebbe ad intervenire diverse volte:
1979-82: la gestione della Federal Reserve di Volcker aumentò i tassi di interesse al 20%, infine introducendo un tasso positivo di interesse dopo l’iperinflazione degli anni ‘70 e provocando una recessione profonda nel 1980-82; il finanziamento degli enormi deficit di Reagan per il riarmo militare fu reso possibile dai prestiti dei giapponesi ( ). Accadeva inoltre in questo periodo che sono saliti alla ribalta i “junk bonds”(“titoli spazzatura”) e i “leveraged buyouts” (“acquisti dagli stipendiati”) . Una retribuzione delle “concessioni” ha trascinato i rapporti di lavoro degli Stati Uniti, con aziende persino redditizie che forzano rinegoziazioni di contratti non scaduti ( ).
1982: prima principale crisi debitoria del terzo mondo, con il Brasile ed il Messico al limite dell’insolvenza; le perdite delle banche americane sono state efficacemente nazionalizzate; il livello di vita dei messicani comuni è caduto intorno al 50% nella conseguente austerità.
1984: gli Stati Uniti si mossero ufficialmente per la prima volta dalla I guerra mondiale dalla condizione di più grande creditore a quella di più grande debitore del mondo; dopo aver gridato per anni contro i “deficit” a causa delle politiche di “tax and spend”, neo-liberisti e neoconservatori improvvisamente andavano dicendo laconicamente che “i deficit non sono importanti”.
1985: L’accordo di Plaza costringe il Giappone ad una rivalutazione dello Yen del 50%, che significava una svalutazione del 50% delle loro precedenti riserve in dollari.
1986: I mercati finanziari di Londra ebbero la loro apertura “Big Bang” di deregolamentazione per ampliare l’atti-vità nei mercati mondiali.
1987: l’arresto del mercato azionario mondiale, apparentemente un evento in gran parte “finanziario”, è seguito da rapida riduzione di liquidità del nuovo presidente della Fed Greenspan e da una ripresa graduale dei valori cartacei nella recessione 1990-91;
1989-1991: la fusione di risparmi e prestiti negli Stati Uniti aggiunge altri 150 miliardi di $ al debito pubblico; nel 1990 comincia una recessione ufficiale e i prezzi delle abitazioni precipitano in media del 20%. Gli eroi dei “junk bond” (“titoli spazzatura”) del decennio precedente sono stati eliminati.
1990: Il mercato azionario giapponese sprofonda da 38.000 a 12.000 e i prestiti bancari difettosi e gli investimenti immobiliari gettano il Giappone in più di un decennio di deflazione.
1994: “crisi tequila” messicana; il governo degli Stati Uniti spende 50 miliardi di $ per cautelare i possessori americani di bond messicani; la Contea di Orange (California) fallisce per le perdite del mercato dei titoli;
1997-98: La crisi asiatica travolge il Sud Corea, Hong Kong, Indonesia e la Tailandia fonde al suo interno. Il FMI (fondo monetario internazionale) presta al Sud Corea 57 miliardi di $ imponendo un’austerità draconiana ( ), e un’enorme agitazione sociale ed economica coinvolge decine di milioni di persone in quei paesi.
1998: la Russia è insolvente; di conseguenza la Long Term Capital Management (Gestione del Capitale a Lungo Termine) degli hedge fund (fondi a gestione alternativa) è stata eliminata ed ha richiesto un salvataggio del dollaro di 13 miliardi di $ che coinvolse varie banche e la sorveglianza da parte della Fed.
2000: crolla il boom del Dot.com; Il Nasdaq perde il 60% del valore e mai lo recupera.
2001: Dopo l’11 settembre, un’ulteriore caduta dei principali mercati azionari, parte di un più grande “mercato al ribasso” del 2000-2003. Il fallimento della Enron segnala nuovamente una crisi delle truffe “fuori bilancio” che diventa sempre più profonda, seguita nel 2003 da World.com.
2002: La media industriale del Dow Jones sbatte contro un 7.300 cadute sul mercato continuamente in calo; Il presidente della Federal Reserve Greenspan porta giù i tassi di interesse all’1%. La recessione 2000-2001 è seguita dal recupero più anemico dalla II guerra mondiale. L’indice Dow recupera e comincia l’ascesa a più 14.000 fino alla caduta del 2007.
2003: L’inflazione dei beni (stock, beni immobili) determinata dal massiccio abbassamento del credito accelera, soprattutto negli Stati Uniti e poi in Europa (Spagna, Regno Unito, Irlanda) la bolla immobiliare.
Si stava uscendo dal mercato in ribasso del 2000-2003 e dalla recessione del 2000-2001 e successiva “ripresa senza lavoro” quando il fenomeno “sub-prime” è balzato alla ribalta..
IV. I SOSTENITORI TEORICI DEL MITICO PONZI TRAMANO NELLA STORIA
La finanza capitalista negli oltre due decenni precedenti ha scoperto la “finanza garantita”, che significa il prelievo di un flusso di denaro contante da qualche flusso di reddito “sottostante”, confezionandolo in una forma vendibile e smerciandolo al suo valore “capitalizzato”. La confezione precedente poteva a sua volta essere confezionata, generando un’“architettura” teoricamente infinita e un “sistema d’ingranaggi” che si appoggiava in definitiva sul flusso di denaro originale. Così gli incerti mutui sub-prime negli Stati Uniti sono stati generalizzati tramite il sistema finanziario mondiale come un proliferante virus dell’AIDS, spesso nascosto nei migliori (‘AAA’- valutati) tipi di carta. La “finanza garantita” ha permesso al capitalismo di sviluppare un classico “schema Ponzi” ( ) di strumenti sempre più opachi, annunciati come innovazione “rivoluzionaria”. Al di sotto, tuttavia, l’“azione di leva” (il rapporto tra il totale valore cartaceo distribuito e il capitale pagato o in fondo cassa) ha raggiunto livelli irragionevoli, tanto che un piccolo declino del valore cartaceo ha significato rapidamente il fallimento ( ).
“Al di sotto” tutto altrimenti nella sfera finanziaria, il cambiamento di direzione dal boom del “dot.com” di prima del 2000 al boom immobiliare da allora in poi era il risultato dei tentativi della Federal Reserve di mantenere il potere di acquisto nelle mani del “consumatore americano”. Per i sapientoni capitalisti, profondamente ignari a ogni crisi di produzione e di riproduzione più profonda, questo “consumatore americano” sempre più indebitato era stato per decenni “la locomotiva” dell’economia mondiale, nel contesto sempre crescente degli indebitati (personale, governativo, aziendale) nell’economia degli Stati Uniti, tutti suoi sovvenzionati con i prestiti dall’estero che dal 2007 avevano raggiunto 3 miliardi di $ AL GIORNO. Sovvenzionando il potere di acquisto del “consumatore americano” si fece urgente la necessità di conservare la condizione fittizia della struttura del mondo intero ed impedire l’eruzione dello strappo deflazionistico più profondo della sfera produttiva.
Gli 1-2 trilioni di $ nella Banca Cinese, per esempio, consistono di piccoli pezzi di carta verdi scambiati con reali merci cinesi prodotte tramite lo sfruttamento degli operai cinesi, pezzi di carta quindi riprestati al “consumatore americano” in modo che quest’ultimo/a possa comprare quelle merci. Quel denaro non sarà mai completamente rimborsato, specialmente se i politici americani procedono a loro modo ed i cinesi rivalutano la propria valuta al livello voluto di 4 renminbi=1$, tagliandosi a metà il valore di quelle riserve. I giapponesi, che hanno visto le loro riserve di dollari ridotte di valore dalla dissoluzione da parte di Nixon del vecchio sistema di Bretton Woods nel 1971, possono raccontare ai cinesi qualcosa o tanto (e i cinesi conoscono molto bene la posta in gioco e l’hanno discussa pubblicamente).
Questo brevissimo sommario della storia trentennale del “Washington consensus”, in realtà, sfiora appena la superficie degli eventi. Infatti stiamo trattando ciò che in realtà è l’ultima fase nella decadenza del sistema capitalista come modo di produzione globale, un processo cominciato nel primo decennio del XX secolo.
V. DECADENZA DI UN MODO DI PRODUZIONE
Che cosa significa in questo senso “decadenza”?
All’incirca nel periodo della I guerra mondiale nel 1914, il capitalismo raggiunse una certa fase nella storia in cui cessò di essere un modo di produzione progressivo su scala mondiale. Storicamente osserviamo che nel primo secolo dell’esistenza del capitalismo a partire dagli inizi del XIX secolo al 1914, c’era un costante sviluppo delle forze produttive e una crescita della “working class produttiva” su scala mondiale ( ), in quelle zone che erano completamente capitaliste. In quel periodo, il capitalismo pervenne ad una fase in cui quel genere di sviluppo non poteva più avvenire in un modo evolutivo pacifico ( ). (Periodizzare il capitalismo in questo modo non significa in nessun modo chiudere gli occhi sui suoi crimini storici, compresi i secoli del commercio di schiavi africani e del saccheggio e spopolamento del Nuovo Mondo).
Quando l’America e la Germania stavano raggiungendo e superando l’Inghilterra come maggiori potenze capitaliste, la working class produttiva stava sviluppandosi su scala mondiale, come percentuale della popolazione attiva capitalista.
E dalla I guerra mondiale fino agli anni ‘70, nessun paese riuscì a svilupparsi in potenza capitalista avanzata nel modo in cui lo fecero gli Stati Uniti e la Germania. Cominciando negli anni ‘70 e specialmente negli anni ‘80, il Sud Corea e Taiwan in effetti si sono evoluti vistosamente entrando a far parte dei primi paesi del mondo, ma questi erano casi speciali, consentiti dagli Stati Uniti come vetrine per far concorrenza all’attrazione della Cina e del Nord Corea (quest’ultimo essendo sviluppato più del Sud Corea fino agli anni ‘70). Da allora, Hong Kong, Singapore e più tardi la Cina e il Vietnam hanno seguito i modelli Sudcoreano e di Taiwan, ma ciò veniva compensato in contrapposizione al declino e al ristagno negli Stati Uniti e in Europa, oltre che in contrasto con l’autentica regressione in Europa Orientale, Russia, Asia centrale, paesi non petroliferi del Medio Oriente, Africa nera e America Latina. Così, a differenza del periodo prima del 1914, il progresso delle tigri asiatiche non è stato affatto espansione su scala mondiale ma sviluppo qui e declino là.
Storicamente, possiamo considerare il periodo dal 1914 al 1945 principalmente come decenni perduti per il capitalismo come sistema, precisamente come crisi più o meno permanente, guerra, reazione, distruzione, e così via. Doveva esserci sicuramente lo sviluppo eccezionale nel Giap-pone, legato alla sua espansione in Cina, e una certa innovazione tecnologica, come negli Stati Uniti ed in Germania durante i “movimenti di razionalizzazione” degli anni ‘20 (legati sempre storicamente ad un’alta disoccupazione dell’8-10%, essendo questa la questione di fondo) e ancora (per esempio l’industria automobilistica degli Stati Uniti) durante la depressione degli anni ‘30. L’America Latina dal 1929 al 1945 sviluppò il suo populismo di “sostituzione d’importazione” dietro alte barriere tariffarie. Né dovremmo dimenticare l’industrializzazione stalinista a marce forzate dell’Unione Sovietica, che uccise oltre 10 milioni di contadini nelle collettivizzazioni, paralizzando l’agricoltura russa per il resto del periodo sovietico e che sottopose l’accelerazione della fabbrica alla gestione della GPU (la polizia segreta sovietica). Le pace, a parte la I guerra mondiale (20 milioni di morti) e la seconda (80 milioni di morti), il carattere “puramente economico” del periodo consisteva in questi scatti locali di sviluppo controbilanciati dalla maggior prevalenza della crisi, del ristagno e della regressione nel mondo nel suo complesso. Quello sviluppo locale avvenuto dovette attendere la riorganizzazione del mondo dopo la II guerra mondiale per essere veramente efficace in un aumento generale dell’accumu-lazione.
Il periodo dal 1945 all’inizio degli anni ‘70, denominato boom postbellico, può essere inteso come un periodo di ricostruzione da quel primissimo periodo della crisi 1914-1945. Ciò NON significa soltanto ricostruzione di quel che esisteva prima del 1914, ma un’espansione che poteva continuare, ancora, finché il tempo di lavoro socialmente necessario della riproduzione fosse superato come “numerario”, comune denominatore, dello scambio capitalista al nuovo, più alto “standard di valore”. L’espressione sociale più importante di questo superamento fu la rivolta operaia negli Stati Uniti e in Europa a partire da 1965 al 1977 circa.
In realtà, il boom postbellico si concludeva a metà degli anni ‘60 ma continuava negli anni ‘70 a causa dell’espansione del credito che generò l’inflazione galoppante degli anni ‘70.
Nella metà degli anni ‘60, come indicato, ci furono importanti recessioni in Giappone, Europa e negli Stati Uniti. E gli Stati Uniti e gli altri principali paesi capitalisti svalutarono le loro economie con il credito ed estesero il boom all’inizio degli anni ‘70. Ma il dinamismo era cessato.
Dall’inizio degli anni ‘70, su scala mondiale, il sistema è stato in crisi permanente, cercando di ristabilire un equilibrio dinamico. La crisi capitalista significa un crollo nella produzione, disoccupazione di massa, distruzione del vecchio capitale e creazione delle condizioni per una nuova espansione con un accettabile tasso di profitto. Nel 1973 cominciò sul serio una crisi di “rallentamento” che non è mai terminata, che ora va accelerando in una crisi di pieno vigore sul modello del 1929. Il Capitale di Marx contiene una descrizione della natura della crisi. L’espulsione dalla concorrenza del vecchio capitale non competitivo, l’espul-sione di molte quote di capitale fittizio, di credito, e l’ab-bassamento forzato di prezzi e salari in modo che una nuo-va fase di espansione possa cominciare con un saggio di profitto che stimolerà i capitalisti ad investire. Questo è il meccanismo della crisi.
Per inquadrare realmente in maniera adeguata questa analisi e procedere oltre la descrizione, è necessario usare la terminologia di Marx, cercando al tempo stesso di rimanere il più chiaro possibile.
Il capitalismo come sistema è regolato da quella che Marx denominò la legge del valore. La legge del valore significa che il costo universale, medio di riproduzione di tutti i prodotti – tutto è comprato e venduto nel sistema capitalista – è determinato da uno “standard” generale regolato dal tempo di lavoro socialmente necessario per RIprodurli OGGI. Il fondamento ultimo di questo standard del valore, che regola il valore di tutti i prodotti, è il tempo socialmente necessario di riproduzione della forza lavoro, il lavoro vivente capace di usare la tecnologia contemporanea. Il capitale senza lavoro vivente da sfruttare non produce profitto, come si è evidenziato nell’ambito dell’automa-zione e della robotica per “risolvere” la crisi del capitalismo.
Da un ciclo al ciclo seguente, il capitalismo sviluppa la produttività e costruisce prodotti meno cari. Rende la tecnologia meno cara e rende i salari (il prezzo capitalista della forza lavoro) meno cari, ma può compensare in molte circostanze i salari più bassi perché anche i beni di consumo della classe lavoratrice diventano più economici.
Così nell’intero sistema, il “capitale variabile”, il costo complessivo di riproduzione della forza lavoro, si rimpicciolisce a causa degli aumenti di produttività.
Marx denominò questo processo di declino dell’ammon-tare complessivo dei salari (V, o capitale variabile) relativo al valore attuale di tutti i mezzi di produzione (C, o capitale costante) l’ aumento della composizione organica del capitale, espressa nel rapporto C/V. Poiché il profitto capitalista può venire soltanto dallo sfruttamento di lavoro vivo (V), Marx individuò una tendenza generale alla caduta del saggio di profitto in rapporto alla massa di capitale (C) che il lavoro vivo mette in movimento.
Alcuni esempi di un V in diminuzione compensato da un contenuto materiale di salarii degli operai in aumento fanno parte del sistema. Nel XIX secolo in America, in Inghilterra, in Francia ed in Germania, a quel tempo i paesi capitalisti più importanti, gli operai spendevano la metà dei loro salari nell’alimentazione. Allora accadde una rivoluzione agraria a livello mondiale. Il Canada, l’Argentina, la Russia, gli Stati Uniti e l’Australia usarono i metodi più moderni di coltivazione e di trasporto per produrre e spedire il grano molto a buon mercato, provocando un abbassamento dei prezzi del grano e una crisi in altri paesi (prin-cipalmente in Europa) ancorché facendo uso di un’agricol-tura contadina su scala ridotta ed il trasporto interno. Così al tempo della I guerra mondiale, le classi lavoratrici spen-devano di meno nell’alimentazione ed avevano più salari da spendere in altri beni di consumo.
La spiegazione del boom del II dopoguerra mondiale era un aumento nella produttività che abbassava il salario complessivo con guadagni in produttività. Ma siccome l’alimentazione ed altre necessità di base cominciavano a diventare molto più economiche, gli operai potevano comprare TV, automobili, case, beni che non potevano comprare o che non esistevano prima della I guerra mondiale. In altre parole, la legge del valore andava deprezzando la produzione, ma gli standard di vita, oltre un certo livello, includendo quello per gli operai, potevano aumentare.
Ma dobbiamo vedere il 1914-1945 come un periodo in cui il capitalismo stava provando a fare la stessa cosa che aveva fatto nelle crisi classiche del XIX secolo, vale a dire trovare un nuovo fondamento per una nuova fase di espansione. Ciò non poteva accadere nella fase precedente, non potrebbe accadere proprio durante un crollo, durante un paio d’anni di depressione e poi di una nuova espansione. Nel mondo allora dominato dal sistema capitalista, la produttività totale del lavoro era troppo alta per essere contenuta all’interno della forma capitalista. Quel che era accaduto precedentemente entro il ciclo di crollo, deflazione, depressione, ripresa e boom (che implicava, come indicato, la distruzione della tecnologia obsoleta, l’acquisizione di tecnologia più nuova a prezzi deflazionati dopo di che potrebbe diventare vantaggiosa, e lunghi periodi di disoccupazione di massa) ha richiesto una scala molto più grande dell’attuale distruzione fisica, sia della tecnologia che della popolazione attiva. In quanto a ciò, era bloccato con elementi istituzionali e geopolitici, perché la Gran Bretagna non poteva più essere la potenza capitalista numero1, ma la Gran Bretagna non stava andando proprio elegantemente a mettersi da parte; dovette essere spinta fuori. La Germania provò a spingere i Britannici da parte e gli Stati Uniti riuscirono a farlo. Così hanno richiesto trenta anni, come ho detto precedentemente, di guerra e trasformazione politica per creare nuove condizioni per l’accumulazione capitalista su una scala mondiale.
La suddetta “composizione organica del capitale” qui è ancora più pertinente. La decadenza del sistema su una scala mondiale è espressa nel “fatto” (un altro aspetto della produttività che è troppo alta per svilupparsi ulteriormente in una forma capitalista) che la grande accumulazione di investimento di capitali (C) si trasforma in un ostacolo all’ulteriore sviluppo. Qualche significativa svalorizzazione di C per ulteriore innovazione tecnologica distruggerebbe il valore dell’eccessivo capitale investito esistente. Quindi la necessità di conservare quel valore diventa un freno allo stesso dinamismo che ha sviluppato il capitalismo ad un alto livello.
Così la crisi è duplice: un saggio di profitto ridotto, sistematicamente, da un rapporto C/V in aumento, che diventa un freno alla vera innovazione, espressione altresì del fatto che V, il costo di riproduzione della forza lavoro, diminuisce al punto in cui non può essere il comune denominatore dello scambio di merci. La crisi non è né una mancanza di tecnologia produttiva né di forza lavoro come tale, ma l’arresto del loro potenziale in un sistema che richiede un sufficiente saggio di profitto per l’investimento capitalista. Il carattere anarchico del sistema può soltanto ristabilire un saggio di profitto sufficiente mediante la distruzione e la regressione, il movimento all’indietro sperimentato socialmente nel 1914-1945 e dal 1973. Una rivoluzione che togliesse il potere economico e politico ai capitalisti renderebbe possibile una fine immediata ai presupposti della legge capitalista del valore sia sulla tecnologia attuale che sulla forza lavoro e consentirebbe una veloce transizione ad una ben maggiore creazione di ricchezza reale, inizialmente liberata dalla sua forma capitalista e che evolva successivamente in generi completamente differenti di attività produttiva e di ricchezza.
Un esempio evidente di un freno capitalista al reale sviluppo umano è l’economia dell’automobile a petrolio che è stata così centrale all’accumulazione capitalista dagli anni ‘20 e particolarmente dal 1945. I brevetti di molti motori ultramoderni di automobile ad alto rendimento di carburante inventati periodicamente sono stati accaparrati dai principali produttori di petrolio, perché non se ne sentisse mai più parlare. Similmente, i produttori di petrolio e di automobili hanno intrigato con successo contro qualunque serio programma di trasporto pubblico negli Stati Uniti per trattenere la popolazione nell’utilizzo delle automobili, con i miliardi di ore perse negli ingorghi stradali, il tempo di pendolarismo e l’enorme consumo di petrolio che vi è implicato, lasciando per contro che il sistema ferroviario marcisca. (A Los Angeles, per fare soltanto un esempio, un buon sistema di trasporto pubblico esistente prima del 1914 è stato smantellato sotto la pressione dell’industria automobilistica per far strada all’incubo periferico del pendolare che esiste oggi.)
Quindi il punto di vista (malthusiano) convenzionale (sostenuto da gran parte del movimento ambientalista) della crisi corrente come risultato della “troppa tecnologia” è la copertura ideologica perfetta della realtà del NON-svilup-po di molte tecnologie, che ha pesantemente contribuito a tale crisi.
Un processo simile al 1914-1945 sta accadendo dall’inizio degli anni 70, nella grande regressione che ho descritto più indietro, in cui l’America non può più svolgere il ruolo egemone del sistema. Gli Stati Uniti non possono più svolgere questo ruolo e nessun altro, nessun altro paese può realmente sostituirli, ma c’è una lotta per la riorganizzazione del sistema mondiale che potrebbe far sì che una nuova fase espansiva si avvii. E penso che, come nel periodo 1914-1945, questo non può accadere pacificamente. Non so esattamente come ciò potrebbe accadere, non sono sicuro che possa accadere perché la crisi di fondo è molto profonda. Ma in ogni modo il problema su una scala mondiale oggi è questo.
In questa situazione, diverse regioni nel mondo, Asia orientale (Giappone, Corea, Cina, Taiwan), Russia, India, Europa, sono tutte insoddisfatte dell’attuale sistema mondiale e vorrebbero riorganizzarlo. Ma nessuna di esse è individualmente abbastanza forte per rovesciare il potere degli Stati Uniti e gli Stati Uniti stanno abilmente provando a trattenerli dalla formazione di un blocco potente ( ). Questo è il contesto geopolitico mondiale per la crisi in atto, analogo al blocco generato da un’egemonia britannica superata dal 1914 in poi.
Ma tuttavia questo è soltanto un livello del problema. Il livello più profondo è, ancora una volta, che, come nel 1914, non può esserci un boom mondiale ampliato, non potrebbe esserci nel contesto capitalista, perché la legge capitalista del valore non è più capace di espandere le forze produttive mondiali nello stesso modo in cui fece prima del 1914.
VI. IL CAPITALE ABBANDONA LO SVILUPPO UMANO PER CONSERVARSI
Esaminiamo più attentamente il bilancio del capitalismo dai tardi anni ‘60 e inizio degli anni ‘70. In America Latina, c’erano impoverimento e deindustrializzazione massicci, e così in paesi come l’Argentina. In alcuni paesi, co-me il Brasile, questo significò l’emarginazione di circa il 20-30% della popolazione dalla partecipazione a quasi ogni genere di economia. L’Africa nera stette ancora peggio: una quasi totale scomparsa dell’investimento reale nei molti cosiddetti Stati falliti. L’Europa Orientale e la Russia ebbero 15 anni di cosiddetta terapia di shock e una transizione al capitalismo privato con milioni di anziani che morivano, perché le loro pensioni diventavano prive di valore, con la nuova inflazione. Nelle Repubbliche asiatiche centrali ex-sovietiche, le condizioni caddero a volte al 30% dello standard di vita anteriore al 1991. Nei paesi non produttori di petrolio del Medio Oriente non era altrettanto sistematico ma c’erano simili forme di emarginazioni delle popolazioni. Nei paesi con redditi petroliferi c’era uno sviluppo molto distorto. Allora nell’Asia di per sé, un determinato genere di sviluppo economico a cui ho prima accennato, le tigri, la Cina, ma in realtà in India ed in Cina insieme, c’era un miliardo e mezzo di contadini esclusi da questo processo. Non vedo in che modo il capitalismo li attiri nel processo. E in Europa e negli Stati Uniti ci sono stati lunghi periodi di ampia occupazione, la deindustrializzazione degli Stati Uniti, la deindustrializzazione della Gran Bretagna. L’1% della popolazione degli Stati Uniti è in prigione. Questo, lo ribadiamo, è il bilancio del capitalismo dall’inizio degli anni ‘70.
In questi fenomeni vediamo come il capitalismo continua a sviluppare la produttività ( ) ma non possiamo tradurre questo aumento di produttività in vantaggi reali per la società.
In altre parole, il capitalismo ha generato la capacità produttiva di avere ore lavorative molto più brevi e la società potrebbe avere una settimana lavorativa molto più breve su una scala mondiale. Ma questo non può accadere in una struttura capitalista. Il capitalismo ha bisogno di lavoro vivo e dello sfruttamento di lavoro vivo per essere capitale. (Senza dubbio, la riproduzione sociale CONTRATTA dal-l’inizio degli anni ‘70 ha insidiato piuttosto la produttività totale esistente – questo è il suo scopo – ma su scala mondiale esistono ancora forze produttive che possono costituire la base per una veloce transizione fuori dal capitalismo.)
Dalla metà del XIX secolo fino alla metà del XX secolo, uno degli slogan principali del movimento mondiale della working class era per la giornata di 8 ore e la settimana di 40 ore. E da quel periodo e negli anni ‘60, il capitalismo in effetti andava riducendo la settimana lavorativa, sotto la pressione del movimento operaio classico.
Ma poi che cosa è accaduto? Questa tendenza, come la tendenza alla maggiore uguaglianza di reddito, si è invertita e adesso la settimana lavorativa si sta prolungando nel Nord America e in Europa, e perché? Non perché in giro non c’è capacità produttiva ma perché, ancora una volta, il capitale ha la necessità di sfruttare il lavoro vivo per sopravvivere e trarre profitto come capitale. Niente di meglio illustra l’incapacità del capitale di realizzare socialmente i propri aumenti di produttività e quindi il suo bisogno di abbattere la produttività per ristabilire un sufficiente tasso di accumulazione e di profitto.
Ciò è esattamente a metà del III volume del libro Il Capitale di Marx. Che cosa ha detto? Il capitale diventa un ostacolo per se stesso.
Oltre un certo punto, il capitale non può realizzare, social-mente, gli aumenti nella produttività che esso genera nella concorrenza. Esso trae vita dalla privatizzazione del profitto e dalla socializzazione dei costi.
È accaduto una volta dal 1914 al 1945 e sta accadendo ancora dalla fine anni ‘60-primi anni ‘70 in forma (finora) più estesa. Qui c’è un abbozzo in miniatura degli Stati Uniti dal 1973, nel quale periodo il “P.I.L.” è aumentato di circa dieci volte. Ci sono molti aspetti della dimensione riproduttiva sociale della crisi post-1973 negli Stati Uniti, ma nessuno si distingue più nettamente, come indicato precedentemente, quanto la scomparsa della famiglia monoreddito della classe operaia, milioni delle quali esistevano intorno al 1960. Il riconoscimento che la maggior parte di quei monoredditi nel 1960 erano guadagnati dall’“uomo bianco” non dovrebbe deviare oggi l’attenzione, quando sono richiesti due o più stipendi per mantenere una famiglia della working class, a causa di una terribile riduzione dei prezzi. Senza per un momento negare l’importanza della “femminilizzazione della forza lavoro”, resta il fatto che milioni di donne sono entrate nella forza lavoro degli Stati Uniti dopo il 1960 perché HANNO DOVUTO farlo. Anche a livello individuale, la settimana lavorativa media è salita da circa 39 ore nel 1970 a circa 43 attuali. Il salario minimo negli Stati Uniti nel 1973 era di 3.25 $ all’ora; oggi è di 6.15 $ e dovrebbe essere elevato a 18 $ per recuperare il potere d’acquisto del livello del 1973. In senso più largo, il plateau dei salari reali nel 1965-1973 inoltre era rimasto fermo o erano caduto (soprattutto caduto) per almeno l’80% della popolazione da allora. Il costo dell’i-struzione superiore era salito vertiginosamente fuori controllo, con la conseguenza di renderla sempre più completamente impossibile per la maggior parte della popolazione (questo sta trascurando per il momento il predominio regressivo in molta istruzione superiore dei “post-moderni” ( ). Gli Stati Uniti annotano ordinariamente 20 allievi di scuola media tra 20 “paesi capitalisti avanzati” esaminandoli comparativamente. Sotto l’effetto della populistica “rivolta fiscale” del 1978, le “scuole pubbliche” della California sono crollate dal meglio al peggio negli Stati Uniti in 30 anni. La speranza di vita negli Stati Uniti è la quarantaduesima nel mondo, rivaleggiando con … la Giordania, e molti paesi semi-sviluppati hanno tassi più bassi di mortalità infantile. Per soddisfare le richieste delle grandi compagnie farmaceutiche e compagnie d’assicura-zione la sanità si prende un 14% del “P.I.L.”, ben superiore a molti altri paesi dell’OCDE con migliori (e universali) sistemi. 40 milioni di Americani non hanno affatto assicurazione contro le malattie. L’1% sono nel sistema carcerario, un aumento esponenziale da 35 anni a questa parte.
Ma la riduzione dei prezzi non si è presentata soltanto nella riproduzione della forza lavoro, come attestano questi dati, ma anche nella riproduzione materiale del mondo. Le stime correnti dei bisogni della ricostruzione dell’infrastruttura degli Stati Uniti ammontano cautamente a 1.6 trilioni di $ e dobbiamo ricordare soltanto New Orleans sotto l’uragano Katrina per comprendere, nella forma estrema, che cosa questo ha significato in generale come regressione sociale.
Le statistiche capitaliste rendono molto difficile isolare “l’investimento produttivo” (come sopra definito), ma per lo meno la produttività (in termini capitalisti), anche nel mini-recupero sotto Clinton negli anni ‘90, non ha mai recuperato la media annuale del 3% del periodo 1945-1973.
Potrebbe esserci un nuovo boom come ne1945-1973? Sì, ma, esattamente come il boom del 1945-1973 escluse una parte molto grande dell’umanità, potrebbe esserci un altro boom ma anch’esso emarginerà popolazioni ancor più del boom del 1945-1973. La decadenza consiste interamente in questo: nell’incapacità del capitale di espandere ulteriormente i poteri sociali dell’umanità
VII. PROGRAMMA: FORMA E CONTENUTO DI UNA TRANSIZIONE FUORI DAL CAPITALISMO
Adesso ci spostiamo alla questione del programma.
Un programma che guardi avanti è della massima importanza se dobbiamo screditare e superare con successo i programmi reazionari, compresi quelli proposti dalla sinistra filo-capitalista (Obama, Nader), che prolifereranno man mano che la crisi si approfondisce. È essenziale essere in grado di distinguere fra un programma che veramente sfida il sistema capitalista ed uno che cerca semplicemente di riorganizzarlo, sia pure “verniciandolo di rosso”.
Negli Stati Uniti, fino a un certo punto in Europa e sempre più nell’Asia orientale, la decadenza del sistema genera di-storsioni nell’economia che lo rendono sempre più difficile per gli operai e la gente normale per pensare concretamente a ciò che una working class rivoluzionaria potrebbe fare.
Così, per esempio, negli Stati Uniti, il paese più decadente fatta eccezione per l’Inghilterra, soltanto il 15% circa della forza lavoro adesso è coinvolto nella produzione (il che non implica affatto che gli altri lavoratori salariati non siano anch’essi proletari con un interesse immediato nella rivoluzione).
Così, naturalmente, gli Stati Uniti sono un’economia parassitaria nell’economia mondiale.
Ricavano la ricchezza attraverso il sistema finanziario internazionale dalle altre parti del mondo, come l’Asia orientale, la Corea, la Cina e il Giappone.
Questo ha permesso loro di de-industrializzare ed avere una cosiddetta “economia di servizi”.
Ma quell’economia di servizi dipende completamente dal mondo che continua ad accettare lo standard dollaro e a finanziare la piramide del debito sempre crescente dell’America.
Essenzialmente il resto del mondo produce e l’America consuma. E l’America è in grado di far questo perché il resto del mondo presta una enorme quantità di denaro all’A-merica. Ora questo congegno funziona a doppio senso. Infatti il resto del mondo può avere uno sviluppo economico apparentemente dinamico, come in Cina, e così ha bisogno dei mercati degli Stati Uniti per continuare a espandersi. Gli Stati Uniti possono avere questo ruolo parassitario ed ottengono i loro beni di consumo e non hanno da produrre niente altro nello scambio tranne piccoli pezzi di carta verdi.
Così pertanto quando presentate un programma per una rivoluzione della working class in un’economia realmente decadente come l’America, molta gente si domanda che cosa ciò può significare. Negli anni ‘60 e ’70, quando l’A-merica era ancora una potenza industriale importante, era molto più facile da immaginare che cosa questo potrebbe significare, con la creazione dei consigli operai e dei soviet. Qui ci sono le fabbriche, ne assumiamo il controllo, issiamo la bandiera rossa e questa è la rivoluzione.
Ma ora la maggior parte delle fabbriche sono chiuse e la gente impegnata a lavorare nelle fabbriche ora consegna le pizze e lavora per McDonald o ha lavorato (fino a poco tempo fa) vendendo alloggi nei mercati immobiliari, e così via.
Così, naturalmente, su scala mondiale, c’è ancora produzione sufficiente perché si abbia una transizione al comunismo, ma in paesi come l’America, il Regno Unito, sempre più l’Europa occidentale e, penso probabilmente, in parte, il Giappone ed ora la Corea, è necessario particolarmente spingere da parte l’apparizione della produzione capitalista quotidiana e presentare un programma per ciò che un’attuale rivoluzione della working class potrebbe fare con l’economia.
Non vogliamo i consigli ed i soviet degli operai nelle banche, nelle compagnie di assicurazioni, nelle aziende immobiliari ed in altri settori dell’economia non necessari o assolutamente nocivi socialmente (vedi: produzione di armi); vogliamo abolire quelle attività.
E vogliamo prendere tutta la forza lavoro, tutti gli operai intrappolati in quei settori dell’economia inutili o nocivi sì che possano contribuire a rendere la settimana del lavoro molto più breve e a generalizzare l’alta produttività ed elevati livelli di vita materiale senza tutti questi ostacoli che vuotano la ricchezza generale.
Prendiamo per esempio l’industria automobilistica americana. Nel 1973 c’erano 750.000 operai dell’auto nel nord-est industriale degli Stati Uniti.
E quegli operai a quel tempo erano per la maggior parte militanti ed erano l’avanguardia della working class, specialmente gli operai neri dell’auto.
Negli ultimi 35 anni, quella forza lavoro si è ridotta notevolmente in modo tale che oggi, per esempio, nella UAW, ci sono soltanto circa 500.000 operai dell’auto rimasti e presto ce ne saranno anche di meno.
Adesso, La Ford Motor è in profonda difficoltà economica, GM è in profonda difficoltà economica e perciò stanno provando a negoziare il migliore accordo possibile con il gruppo di operai rimasti.
Ora c’è anche una possibilità di fusione tra GM e Chrysler.
Allo stesso tempo, ci sono ancora molti stabilimenti di auto non sindacali negli Stati Uniti, specialmente negli stati meridionali e la maggior parte di loro sono stabilimenti di auto a capitale straniero: giapponese, coreano, tedesco e francese.
Ma quelle fabbriche sono costruite in piccole cittadine attentamente selezionate, molto isolate, dove non c’è tradizione di lotte della working class, così che, per quanto ne so io, c’è pochissima militanza operaia in quelle fabbriche.
Cosa significa questo dal punto di vista rivoluzionario? Significa che anche 40 anni fa, l’idea della produzione in continuazione di automobili così come era non faceva parte del programma rivoluzionario.
Il vero programma rivoluzionario dovrebbe consistere nell’indicare la decadenza nella perdita di enormi risorse a causa di tutta l’organizzazione sociale dell’automobile e nell’indicare altri generi di trasporto, altro genere di città, altri usi del petrolio, e così via. Anche 40 anni fa il programma rivoluzionario non era per più automobili. Stava cambiando l’intera natura della produzione in modo che la dipendenza sociale dalle automobili diminuisse ed altri generi di trasporto come i mezzi di trasporto di massa potessero sostituire le automobili ed in modo che le città potessero essere organizzate in modi diversi.
Quella è produzione materiale che non è decadente in una struttura sociale. E così il programma rivoluzionario non consisterebbe nei consigli operai, soviet, controllo operaio per più automobili (comunque tali importanti istituzioni saranno altrove) ma sarebbe per tutti i differenti generi di lavoro e tutti i differenti generi di produzione.
Questo è tutto per rispondere alla domanda circa il collegamento fra il programma e cosa vedo io come decadenza di questo sistema. È semplicemente un genere di modello astratto che tenta di passare attraverso le apparenze del capitalismo decadente.
Propongo di utilizzare il seguente strumento “euristico” per esplorare il capitale fittizio nell’economia mondiale: immaginiamo la produzione mondiale dal punto di osservazione di un soviet mondiale dopo la vittoriosa rivoluzione della working class mondiale. Ciò è naturalmente esaltante, quasi-utopista pensandoci, ma dal mio punto di vista è un genere di astrazione necessario che interagisce con il programma da oggi finché una rivoluzione mondiale non renda concreta tale astrazione. Non è diverso dai volumi I e II del Capitale di Marx, che fanno astrazione da mille apparenze per isolare ciò che il capitale “realmente è” e poi, alla fine del II volume e nel III volume, immergere quell’astrazione nelle realtà quotidiane più da vicino al funzionamento visibile del sistema (su questo metodo v. nota 26 )( ).
Penso che il motivo principale dell’eclissi del tipo di lotte dominanti negli anni ‘60 e ‘70 e della relativa assenza di tali lotte oggi sia la globalizzazione delle poste in gioco. Non c’è riformismo significativo a livello di società complessiva (contrariamente allo specifico locale ed alle lotte difensive che possono avere vittorie provvisorie). Ecco perché la parola “riforma” ora è lo slogan della reazione. Se, come affermò Marx nel 1844, “In Francia, è sufficiente voler essere qualcosa per voler essere tutto”, oggi affinché qualcosa esista è necessario che diventi tutto.
Quanto segue non offre altro che lo scheletro nudo di un programma per la riproduzione materiale ampliata della società; non comincia a discutere allo stesso modo se non la trasformazione più importante della vita, “lo sviluppo delle capacità umane come suo proprio obiettivo” che sarebbe l’essenza di una società realmente comunista.
La vecchia “immagine” della rivoluzione della working class era uno sciopero generale o sciopero di massa, occupazione delle fabbriche, istituzione dei consigli operai e dei soviet, il rovesciamento politico della classe capitalista e da lì in poi un’amministrazione democratica diretta della produzione socializzata. Questa “immagine” era basata sulle esperienze delle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola e ungherese e ravvivata dal movimento del gatto selvaggio americano, britannico e francese dagli anni ‘50 in avanti, dallo sciopero generale francese del maggio-giugno 1968, dalla rivolta dei lavoratori italiani dal 1969 al 1973, dalle rivolte dei lavoratori in Portogallo e Spagna nelle “transizioni” della metà degli anni ‘70. Possiamo aggiungere il “Cordobazo” in Argentina (1969), i “cordones comunales” proto-soviet cileni del 1973 e gli scioperi dell’industria pesante in Brasile del 1978-1982.
Penso che questo modello abbia perso il contatto con la realtà contemporanea, almeno nell’occidente (contrariamente alla Cina ed al Vietnam) perché lo sviluppo tecnologico intensivo del capitale, la riduzione delle dimensioni e la delocalizzazione hanno ridotto “il processo di produzione immediato” (la realtà del “I volume” del capitalismo) ad una parte relativamente piccola della forza lavoro totale (per non parlare della popolazione totale) e perfino gli operai produttivi che rimangono sono spesso coinvolti nella fabbricazione di cose (per esempio armamenti) che non avrebbero posto in una società fuori dal capitalismo. Altri posti di lavoro contemporanei sarebbero aboliti da una rivoluzione vittoriosa che sia sottoposta al “controllo operaio”.
Come dicevo, uno strumento soltanto euristico, ma forse utile.
Su una scala mondiale, il numero totale degli operai produttivi, come percentuale della popolazione capitalista (lavoratori salariati e capitalisti), è andato restringendosi anche quando la “produzione” globale complessiva si stava sviluppando. (Questo può sembrare in contraddizione con l’emergere della Cina e dell’India, ma la Cina dal 1997 HA PERSO oltre 20 milioni di posti di lavoro industriali ed in India gli operai sono ancora meno del 10% della forza lavoro totale, che rimane rurale in modo schiacciante. In ogni modo il risultato non è pura quantità. Quel che importa è il VALORE totale, nel senso della legge del valore, della forza lavoro complessiva mondiale. Gli operai che guadagnano molto meno in Cina o gli operai dell’alta tecnologia in India eliminano gli operai profumatamente pagati del-l’occidente. Tutta la questione della loro integrazione nel mercato mondiale è di RIDURRE il “V” che i marxisti chiamano capitale variabile, il conto del salario complessivo).
Il primo compito di un tale soviet sarebbe di organizzare la transizione globale dalla produzione del valore (nel senso marxiano di valore). La rivoluzione mondiale presumibilmente potrà aver luogo quando il rapporto di C (capitale costante) rispetto a V (capitale variabile), la composizione organica del capitale, è già molto alta, significando che quel valore è già obsoleto. Ma qual è la base del valore? È il costo sociale di riproduzione della forza lavoro produttiva esistente delle due sezioni I e II. La rivoluzione accelererebbe lo sviluppo delle forze produttive su una scala globale per liberare veramente la produzione e la riproduzione dalla forma valore.
Ciò di cui abbiamo bisogno è una comprensione di fondo delle risorse totali disponibili su una scala mondiale, in termini di forza lavoro e mezzi di produzione esistenti, per effettuare una tal transizione. Il costo di riproduzione della società mondiale in termini odierni è “il fondamento” di una misura del “capitale fittizio”. Qui è il programma minimo dei “primi 100 giorni”:
I. abolizione del dollar standard, ecc. e una “deflazione organizzata” dell’economia mondiale (che la crisi ad ogni modo sta facendo abbastanza bene per noi, in modo anarchico)
II. abolizione di tutti i lavori socialmente inutili e nocivi
III. riduzione della giornata lavorativa, con l’aiuto di milioni di operai resi disponibili da II.
IV. espansione globale per elevare la popolazione mondiale a un tenore di vita accettabile in tutto il mondo.
V. transizione fuori dall’economia dell’acciaio/petrolio /automobile con lo smantellamento dell’estensione urbana/suburbana/extraurbana prodotta dai bisogni di quell’economia.
Ulteriori osservazioni sperimentali.
Qui ci sono ulteriori punti programmatici, che offrono altri dettagli molto esplorativi, nel quadro di cui sopra, per questo vittorioso soviet mondiale. Essi consistono negli atti del fallimento del “Capitolo 11” per il sistema capitalista.
Nell’abolizione del capitale fittizio come parte dell’abolizione del capitale (un RAPPORTO sociale, che Marx denominò “rapporto capitale”), imponiamo “standard di contabilità globale” o “resoconti delle risorse mondiali” per fare un “inventario” del totale dei mezzi di produzione esistenti e di forza lavoro, in termini di valori d’uso (l’obiettivo consiste nello spingere tutta la produzione al di fuori della necessità dello scambio, di modo che la “misura” sociale non intervenga né nel prezzo né nel tempo di lavoro ma consista rigorosamente in termini di valore d’uso dei beni reali e servizi prodotti. )
1) attuazione di un programma d’esportazione di tecnologia per uniformare verso l’alto il terzo mondo.
2) creazione di una soglia minima del reddito mondiale.
3) smantellamento del complesso acciaio/auto/petrolio, spostandosi al trasporto di massa ed ai treni.
4) abolire il pletorico settore delle forze armate; polizia; burocrazia statale; burocrazia aziendale; prigioni; FIRE; (finanza, assicurazione, proprietà immobiliare); guardie di sicurezza; servizi di intelligence.
5) la forza lavoro liberata da (V) esegue lavoro socialmente utile per facilitare una settimana lavorativa più corta.
6) programmi di ridimensionamento attraverso l’energia: energia da fusione nucleare, solare, eolica, ecc.
7) applicazione quanto più è possibile del principio “più è meno”. (esempi: i telefoni satellitari sostituiscono la tecnologia della linea terrestre nel terzo mondo, Cd economici sostituiscono i costosi sistemi stereo, ecc.)
8) un programma agrario mondiale concordato rivolto all’uso delle risorse alimentari di Stati Uniti, Canada, Europa e allo sviluppo dell’agricoltura del terzo mondo.
9) integrazione della produzione agricola e industriale, e rottura della concentrazione di popolazione megalopolitana. Ciò implica l’abolizione delle zone periferiche ed extraurbane e la trasformazione radicale delle città. Le implicazioni di ciò per il consumo di energia sono profonde. È tempo di prendere seriamente il riferimento del Manifesto dei comunisti alla contraddizione fra la città e la campagna e porre programmaticamente la loro integrazione.
10) automazione di tutti i lavori faticosi che possono essere automatizzati.
11) generalizzazione dell’accesso ai computers e formazione per la piena partecipazione della working class alla pianificazione globale e regionale.
12) sanità e cura dentale gratuite.
13) integrazione tra produzione e istruzione, quindi rifacendo l’idea precisa di cosa significa istruzione.
14) spostamento di R+D (ricerca e sviluppo), attualmente collegati con il settore improduttivo, nell’uso produttivo.
15) il grande aumento nella produttività del lavoro procura altrettanti prodotti di base liberi come possibile, liberando quindi tutti i lavoratori (per esempio cassieri, ecc.) addetti alla raccolta del denaro ed a rappresentarli.
16) riduzione globale della settimana lavorativa.
17) centralizzazione di tutto quello che deve essere centralizzato (per esempio uso delle risorse mondiali) e decentralizzazione di tutto quello che può essere decentralizzato (per esempio controllo del processo lavorativo nel quadro generale)
18) Provvedimenti per occuparsi dell’atmosfera, eliminazione progressiva nel modo principale dell’uso del combustibile fossile.
Ancora una volta, in conclusione, l’utilità di siffatto programma di base, molto del quale può essere realizzato rapidamente dal potere della working class, è che abolisce completamente gli aspetti delle profonde distorsioni dello sviluppo fittizio almeno dalla la II guerra mondiale. Esso taglia nettamente i dibattiti astratti sulle “forme organizzative” (partito, classe, consigli, soviet). Ancora una volta, non vogliamo consigli operai e soviet nelle finanze, nelle assicurazioni, nell’immobiliare e in molti altri settori accennati che esistono soltanto perché il sistema è capitalista; vogliamo abolire quei settori.
VIII: SGUARDO IN AVANTI; L’OCCASIONE PIÙ GRANDE PER LA WORKING CLASS MONDIALE DAL 1917-1921
Questa crisi, che esprime lo scompiglio profondo della classe capitalista, offre alla sinistra anti-capitalista radicale la sua più grande occasione dalla sconfitta dell’ascesa della classe operaia mondiale dopo la I guerra mondiale. Allora, era un secolo di dominio britannico del mondo e una fase barcollante dell’accumulazione capitalista, col dominio americano che stava per decollare; oggi, siamo nei decenni del dominio americano del mondo e dei 30 e più anni di decadenza rappresentati dal “Washington consensus” che sta in piedi grazie alle estorsioni e – più essenzialmente e per i motivi indicati dall’analisi precedente – NESSUN POTENZA SUCCESSORIA è in attesa dietro le quinte. Gli effetti di quel “fatto” aprono una lotta sia per una riorganizzazione del capitale mondiale che per un possibile nuovo “assalto al cielo” della classe operaia. La massima crisi capitalista dal 1929 può star preparando la più grande sommossa della working class dal 1919. La sconfitta dopo la sconfitta della working class fra il 1914 e il 1945 era necessaria per consolidare la nuova era americana; gli anni venturi vedranno una battaglia simile per rimescolare le carte dei capitalisti e sarà in questa nuova situazione dove “cadono i ladri” che può verificarsi un possibile passo avanti rivoluzionario.
Se la “crisi finanziaria” del 2007-2008 si risolve soltanto in una profonda “recessione mondiale” o in una completa depressione, il bagaglio ideologico di 30 anni dev’essere gettato a mare in una questione di mesi, se non giorni. Allo stesso tempo, il bagaglio ideologico per il controllo della working class del periodo precedente – socialdemocrazia, stalinismo, keynesismo – si è notevolmente indebolito, in larghe organizzazioni sociali (partiti socialisti, comunisti e laburisti, o nei Democratici americani, nei sindacati) che precedentemente l’hanno sostenuto. Quando, entro il 1921, le rivoluzioni russa e tedesca e gli scioperi di massa e insurrezioni in una dozzina di altri paesi erano state sconfitte, lo statalismo capitalista ebbe un grande avvenire davanti a sé nello stalinismo, nel fascismo e nel New Deal. Ma quelle “soluzioni”, come tutte le soluzioni storiche re-ali, richiesero anni di brancolamento nel buio, battaglie di fazione fra gli aspiranti al potere ed infine (come sostenevo) la II guerra mondiale per produrre i contorni netti della ripresa dopo il 1945. Più avanti, essi hanno costruito sulle ideologie e sulle istituzioni (soprattutto il movimento socialista mondiale) che stavano sviluppando da decenni prima della I guerra mondiale.
Oggi, al contrario, vediamo la borghesia occidentale che, disfattasi della propria ideologia neo-liberista, in un attimo cade all’indietro sul keynesismo, iniettando centinaia di miliardi di dollari nel sistema bancario per scongiurare il crollo e rispolverando leggi e poteri dimenticati da 70 anni per rincalzare con le loro misure di emergenza. Abbiamo a mala pena visto la conclusione di questo. Figure di centro sinistra sono emerse nel decennio passato – Paul Krugman, George Soros, Jeffrey Sachs, Joseph Stiglitz – pronte ad essere gli architetti di un capitalismo recentemente riformato. A metà novembre, il “Gruppo dei 20” (un G-8 allargato) si incontrerà in Washington DC per cominciare le discussioni per una “nuova Bretton Woods” ( ). Possiamo essere sicuri che la conferenza sarà ricordata altrettanto vagamente quanto sono ricordate oggi le svariate super-pubblicizzate conferenze sul disarmo ed economiche degli anni ‘20 e ‘30. Tali argomenti sono a mala pena depositati pacificamente intorno a un tavolo del congresso, come ha indicato il meno importante ma non meno potenzialmente acrimonioso Doha Round sul commercio internazionale, che viene tirato fuori negli anni e ripetutamente si conclude nel fallimento. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che gli Stati Uniti non cederanno tranquillamente un pollice dei loro privilegi imperiali, ammettendo qualche significativa retrocessione del dollaro, qualche eloquente pagamento dei 13 trilioni di $ di debiti degli Stati Uniti con l’estero, o controllando le azioni americane della Banca Mondiale e del FMI (fondo monetario internazionale). Oppure, in mancanza di questo, tutte le concessioni che fa saranno cosmetiche. In aggiunta ai candidati di centro sinistra per la riorganizzazione del capitalismo mondiale, possiamo anche anticipare il riemergere della destra autoritaria, che spesso (come con il fascismo nel periodo fra le due guerre) ha essenzialmente lo stesso programma della sinistra moderata, pronta a spaventare i potenziali rivoltosi in una “difesa della democrazia (borghese)”.
Le questioni reali affrontate nella conferenza, che si giocheranno fuori nel confronto internazionale e nella lotta di classe negli anni a venire, saranno come minimo la retrocessione degli Stati Uniti che rifletta sia il loro declino economico che la crescente potenza economica (innanzitutto) dell’Asia, soprattutto dell’Asia orientale. Negli anni ‘60 l’Asia era stimata per il 5% del P.I.L. mondiale (mettendo per un momento tra parentesi il contenuto ideologico ingannevole del “P.I.L.”); oggi rappresenta il 35%. In un modo o nell’altro, i capitalisti asiatici insisteranno su un riconoscimento istituzionale di questa variazione.
La questione reale, tuttavia, per questa e per le future conferenze sarà precisamente di prevenire l’attuazione del programma sopra descritto. Cosciamente o incosciamente, il superamento del valore (nel senso di Marx) per la futura riproduzione allargata dell’umanità sarà il vero “ospite non invitato”. Questa e le future conferenze, prima, durante e dopo le rivolte della working class e il confronto internazionale (e l’intreccio di entrambe, come nella rivoluzione spagnola del 1936-1939) sarà su come riorganizzare il sistema mondiale, giocando una nuova mano con nuovi giocatori ed imponendo un nuovo sistema di “relazioni industriali” alla working class mondiale. La questione sarà di forzare nuovamente l’accumulazione in una base per un saggio di profitto sufficiente per il capitale globale, come il sistema sta facendo a sprazzi dai tardi anni ‘60, senza (come precedentemente sostenuto) trovare un equilibrio.
È nostro compito assicurare che la classe capitalista mondiale fallisca in questa riorganizzazione, a nostre spese. Hic Rhodus! hic salta! Qui è la rosa, qui balla! Compagni, la storia ci ha offerto un’occasione che, se falliamo, non verrà più nel corso della nostra vita. Novanta anni fa, nelle parole di Rosa Luxemburg: “La rivoluzione dice: ero, sono, sarò”. Quel futuro sta a noi farlo o disfarlo.
Tradotto a cura di PonSinMor, novenbre 2008.