lunedì 30 gennaio 2012
Da Insurgent Notes, n.5 2012
http://insurgentnotes.com
Rise like lions after slumber… Ye are many, They are few.
Shelley, The Mask of Anarchy
È stato un tempo lungo a venire. Governi che collassano in Tunisia, Egitto, Libia e, forse, presto in Yemen e Syria; ripetute sollevazioni contro l’austerità in Grecia, rivolte in Gran Bretagna, 100.000 “incidenti” all’anno in Cina, una mobilitazione mese dopo mese in Cile: infine, l’onda globale di lotta del 2011 ha raggiunto gli USA con Occupy Wall Street (OWS) e le susseguenti occupazioni in forse 1’000 città e cittadine americane. Per gli USA, così come per molti dei paesi nel Medio Oriente, decenni di glaciazione della lotta sciolti in poche settimane, il 2011 potrebbe non avere raggiunto l’estensione globale del 1968, ma negli USA almeno, qualche modo, ha sorpassato il ’68 nei mesi di confronto sostenuto in così tanti posti allo stesso momento. Come dicemmo la scorsa primavera riguardo l’importante precursore di Madison dell’Autunno del movimento di Occupy, la vecchia talpa ha ben scavato. Qualsiasi altra cosa possa accadere da ora, un nuovo periodo storico si è aperto e i decenni nei quali le crisi nere post 1970 nacquero nel silenzio o le sporadiche sollevazioni furono sconfitte nell’isolamento sono finiti.
Qualcosa è sfuggito al controllo dei Democratici, delle ONG, del SEIU (sindacato nordamericano ndt ) e delle sette di sinistra- della società ufficiale e di coloro che provavano un suo semplice lifting- qualcosa che difficilmente sarà rimesso al suo posto. Centinaia di migliaia di persone che non erano mai stati prima in mobilitazioni di massa (o mobilitazioni di qualsiasi tipo) si sono trovati a confrontare la polizia, affrontando gas lacrimogeni e spray al peperoncino, andando in prigione e imparando nelle strade ciò che non poteva essere imparato in nessun altro modo, ossia il vero ruolo del “corpo speciale di uomini armati” dello Stato e la fluidità e i flussi e i riflussi di un movimento pratico che si dispiega in azione. Come Marx disse una volta “Un concreto passo avanti verso il movimento reale è degno di centinaia di programmi”. Il 2012 mostra ogni segno di essere un anno di passi ulteriori e tutte le forze del vecchio mondo stanno lottando per un posto nelle speranze spurie di spostare il movimento verso campagna di ri-elezione di Obama e verso un movimento sindacale più gentile e soft, quello che per così tanto tempo si è declinato nella sua parrocchiale, provinciale preoccupazione di tenere il passo con la base abbastanza a lungo perchè la attuale generazione di burocrati possa andare in pensione con le loro pensioni multiple e il “dopo di noi, il diluvio.” (Per la maggioranza delle persone, giovani o vecchie, bianche o nere, il diluvio è cominciato molto tempo fa.)
Insurgent Notes pertanto dedica la maggior parte di questo numero al movimento Occupy.
Occupy negli USA naturalmente invita ad inevitabili comparazioni con gli anni ’60. E nonostante noi non desideriamo scoraggiare la grande maggioranza dei partecipanti in OWS e da altre parti troppo giovani per aver sperimentato quel decennio, invocando la lunga ombra degli anni ’60, alcuni commenti sono dedicati a misurare la distanza storica da quell’era. La situazione economica e sociale oggi è ovviamente molto più complicata. Vero, il ’68 fu esattamente l’anno ne quale i trend post 1945 verso una maggiore eguaglianza dei redditi (non soltanto negli USA ma in tutto il mondo “capitalista avanzato”) furono rovesciati, per divenire più ineguali negli Stati Uniti oggi rispetto perfino al 1929. E un tema comune fra ’68 e 2011 è quello dei giovani con un’educazione universitaria che si muovono verso il basso. È solo che nel ’68 la gran parte dei New Leftists non sapeva ancora che la maggior parte di loro erano in movimento verso il basso. Nessuno oggi, in contrasto ad allora, sta parlando della “società del benessere” o della “società del tempo libero” o dell’incombente “settimana lavorativa da dieci ore”, evocati da alcuni futurologi-post-scarsità che non avevano capito che la tecnologia di per sé non è capitale e che il capitale esiste soltanto sfruttando lavoro vivo.
Il movimento del 2011, data la situazione più critica che gli ha dato vita, si è trovato su una curva di apprendimento più rapida che il movimento statunitense degli anni ’60. Se vediamo come durata degli anni 60′ ,in realtà, dal 1955 (il boicottaggio della Montgomery bus, il wildcat di massa in automobile contro il tanto decantato contratto UAW di quell’anno) fino al 1973 (la “crisi petrolifera”, la fine del boom del dopoguerra e la fine del movimento wildcat) notiamo che non fu che nel 1965 che i militanti afroamericani (qualsiasi fossero i loro altri problemi) ruppero con i primi pacifisti dei movimenti per i diritti civili, (notiamo) che il movimento contro la guerra del Vietnam necessitò di anni per muoversi dalla marginalità verso un ampio supporto nell’intera popolazione e che il movimento di middle-class e bianco degli studenti della New Left necessitò di un tempo simile per evolversi dal vago discontento della Dichiarazione di Port Huron del 1962 verso qualcosa che assomigliasse ad una prospettiva anti-capitalista (quantunque deformate le forme Staliniste, Maoiste e Terzomondiste di quel “anti-capitalismo”) intorno al 1968-1969.
Di contro, il movimento Occupy del 2011, particolarmente sulla costa occidentale, necessitò soltanto di settimane (o meno[i]) per vedere la necessità di collegarsi con più ampi strati della working class, per cominciare a porre in discussione (almeno da una importante minoranza) il sistema capitalista di per sé, per andare oltre i suoi primi tendere le mani pacifisti nei confronti polizia, per provare, con un discreto successo, di andare oltre il suoi iniziale cuore fatto di classe media bianca per allearsi con afroamericani e latinos e, cosa di maggior importanza, raggiungere un importante empatia con una più ampia fetta di popolazione.
OWS inoltre ha echeggiato la prima New Left degli anni ’60 nella sua sfiducia nei leader[ii] ,ideologia e petizioni. Questo ha riflettuto un decennio o più di esperienza da alcuni dei suoi membri chiave in azioni prima e dopo la mobilitazione del 1999 di Seattle contro il WTO, con il formato del metodo del “consenso” delle assemblee (alcune volte diluito all’accordo del 90 o dell’80 per cento) e il “People’s mic”. Tali metodi furono sviluppati per molte ragioni, tra queste il contro-modello negativo dei vecchi scontri tra fazioni della sinistra e i tentativi delle sette della sinistra di infiltrare e manipolare gli incontri in cerca di reclute. Molte Star di Hollywood e molti altri, che hanno visitato i luoghi occupati in simpatia o supporto hanno debitamente accettato le stesse regole. Il metodo del consenso potrebbe non sopravvivere quando strati più severi della classe lavoratrice si metteranno in movimenti e più questioni divisorie sfideranno il movimento (il secondo problema già emerso in Occupy in diverse città circa la questione della polizia, della presenza di sostenitori di Ron Paul, delle divisioni tra la maggioranza alle origini liberal/social democratica e le correnti radicali emergenti, etc. ), ma ha avuto il merito di forzare coloro che parlano a parlare in maniera succinta e andare al punto, di evitare divergenze ideologiche e di mantenere alta l’attenzione.
Nè si dovrebbe dimenticare che anche la New Left dei primi anni ’60 cominciò con la sfiducia della ideologia soltanto per chiudersi nei tardi anni ’60 impantanato nel peggiore “prima in tragedia, poi in farsa” rigurgito di varianti anni ’30 dell’Ideologia Stalinista. “Ideologia” è per definizione una falsificazione della realtà, alla quale noi contrapponiamo teoria. “La coscienza è qualcosa che il mondo deve acquisire, perfino se esso non vuole farlo”, come qualcuno una volta ha scritto[iii] . Come tutti i movimenti giovanili che emergono da profondi processi sociali, Occupy dovrà affrontare più chiaramente dove essa si pone su questioni di programma, sulle sue relazioni verso i milioni di lavoratori che simpatizzano da lontano ma che proseguivano le loro routine giornaliere spesso ad un isolato di distanza dalle occupazioni, sulle dinamiche di razza e classe nella società Americana, per non parlare del modo di produzione capitalistico e la sua abolizione. Certamente è stato qualcosa di nuovo, in contrasto con gli anni ’60, che i partecipanti a Occupy stessero chiaramente lottando per se stessi, e non in una vaga solidarietà con una guerriglia contadina di cui si aveva ben poca comprensione o con regimi statalisti burocratizzati sull’altro lato del pianeta. Questa realtà, di per sé, gira la pagina di un’era.
OWS e le sue propaggini a livello nazionale, tuttavia, hanno un’ideologia diffusa e questa ideologia è stata il populismo, una corrente con radici profonde nella storia americana. Mentre l’idea del “99%” serviva per catturare l’immaginazione popolare sottolineando l’ammassamento di ricchezza senza precedenti da parte dell1% (o lo 0.1% o lo 0.001%) nei decenni recenti, essa ha allo stesso modo favorito molte illusioni, cominciando con lo slancio pacifista verso la polizia. Ma allo stesso modo se non di più sono state una serie di mistificazioni, sopra di tutte tutta l’attenzione eccessiva sulle istituzioni finanziarie come il cuore della crisi, al contrario di una crisi globale nella sfera della produzione e riproduzione materiale in corso da decenni, [iv] della quale la “finanziarizzazione”, quantunque definita e quantunque importante, è soltanto un sintomo e una risposta a trend più profondi. Tra la miriade di obiettivi dei movimenti di occupazione, “il capitalismo” è stato soltanto un oggetto in più di una lista della spesa, con in generale ben poca comprensione di cosa il capitalismo, o la sua attuale abolizione, implichi, perciò lasciando la porta del tutto aperta a slogan populisti che vanno da “Abolire la Federal Reserve” a “tassare i ricchi” e “far pagare i ricchi la propria giusta parte”. Una parte significativa di Occupy rimane ancora vulnerabile alle sirene di Joseph Stiglitz o di Jeffrey Sachs.
Uno dei punti di forza del movimento è stata la sua resistenza alla pressione da varie forze esterne, a partire dai media, per “richieste concrete”, per non parlare di leader capaci di negoziare alcune richieste[v] e pertanto diventare bersagli per la repressione e la cooptazione. Come ha affermato qualcuno, perfino gli attivisti di OWS che volevano richieste non conoscevano quali richieste fossero. CLR James ha rimarcato molto tempo fa che le realtà del capitalismo nella sua fase statalista[vi] educano le persone direttamente e preparano il punto di partenza della rivolta con un senso embrionale di ciò che è necessario. Quantunque diversa e dispersa la specifica consapevolezza dei partecipanti, la mancanza di richieste ha espresso la profonda realtà del movimento come uno di una società bloccata, che implicava una trasformazione totale, per quanto articolata in maniera povera. Quali erano le “richieste” in Francia nel Maggio ’68 o in Argentina nel 2001/2002, o altre situazione dove “il potere sta nelle strade?” Quali sono le “richieste” in Grecia oggi? La totale trasformazione richiesta- noi la chiamiamo rivoluzione- non è una qualche “richiesta”, ma qualcosa che uno fa.
Il movimento inoltre esprime nella sua esistenza concreta quello che dovrebbe essere la sua più importante scoperta pratica: dopo decadi delle (perlopiù) fallimentari esperienze di lotta sul luogo di lavoro, di dispersione della popolazione lavoratrice in una ulteriore suburbanizzazione e ex-urbanizzazione, di totale deindustrializzazione di regioni, di precarizzazione e declino dell’occupazione stabile e a lungo termine in un luogo di lavoro, il movimento Occupy ha scoperto lo spazio pubblico centrale rimanente come uno dei luoghi di visibilità capace di raggiungere uno vasto numero di persone. “Rendere la vergogna più vergognosa ancora facendola pubblica” (Marx[vii]) è stata una parte importante di cosa OWS e le sue derivazioni riguardassero, dopo decenni in cui così tanta degradazione e ritirata sono stati sofferti in un silenzio atomizzato, sepolto dai media spazzatura buonisti e dall’anonimato rinforzato delle persone che hanno subito una crescente insicurezza lavorativa, la realtà o la minaccia della perdita della casa, la sanità sempre più costosa o nessuna sanità, diplomi inutili e “ri-educazione” da dubbie truffe educazionali, licenziamenti, allungamenti della settimana lavorativa e declino del reddito reale con due o tre lavori precari, pensioni che spariscono, tasse scolastiche che schizzano alle stelle, cambiamenti arbitrari settimana per settimana di posto e orario (designanti per nessun’altra ragione che stancare, demoralizzare e frammentare ogni potenziale solidarietà sul luogo di lavoro), sorveglianza elettronica e metodi di produzione just-in-time. Come i piqueteros argentini che compresero i crescente limiti della lotta focalizzati sul luogo di lavoro e la espansero invece ai supermarket, ospedali, stazioni di polizia e blocchi delle autostrade, OWS ha scoperto una forma di organizzazione militante nella quale un migliaio di rimostranze potessero essere trasmesse e rese visibili, non da ultimo tramite il suo spesso abile uso dei nuovi media.
traduzione a cura di Connessioni
Notes
[i] Non dovrebbe essere dimenticato che Occupy Portland e Occupy Seattle hanno prima del loro inizio la realtà (ben lontana dall’essere risolta) del confronto ad Agosto tra i lavoratori delle piattaforma offshore e la polizia a Longview, Washington, che è stata trattata da diversi contributi su insurgent notes (http://insurgentnotes.com/)
[ii] OWS e altre occupazioni non sono state del tutto prive di leader come è stato ampiamente decantato sia dal movimento che dai media: cfr http://nymag.com/news/politics/occupy-wall-street-2011-12/ o gli “anarco-insurrezionalisti” di Oakland menzionati nell’articolo di Jack Gerson http://insurgentnotes.com/2012/01/occupy-oakland-the-port-shutdown-and-beyond/ . Nel tempo, questi “leader non-leader” divennero noti come “l’1% del 99%”.
[iii] http://www.marxists.org/archive/marx/works/1843/letters/43_09.htm
[iv] Per un’analisi più approfondita vedi: http://home.earthlink.net/~lrgoldner/remaking.html
[v] Anche in questo caso OWS, o parti di esso, ha ricordato il successo dei media degli anni ’60 nella creazione di spettacolari “leader” che poi in un modo o nell’altro hanno distorto la realtà, prendendo i loro 15 minuti di celebrità, e più piccoli numeri hanno perfino ricordato il grido di battaglia degli IWW di un centinaio di anni fa: “siamo tutti leader!”.
[vi] CLR James, “Facing reality”, Bewick Publications 1958. James stava parlando del “capitalismo di stato” come un fenomeno mondiale negli anni ’50, ma la sua riflessione può essere applicata alla sicuramente più incisiva, quasi totalitaria espansione delle relazioni commerciali da allora.
[vii] http://www.marxists.org/archive/marx/works/1843/critique-hpr/intro.htm
Pubblicato da CONNESSIONI x la lotta di classe a 01:12
Questo testo si trova nel site Break Their Haughty Power
http://home.earthlink.net/~lrgoldner
e nel site Insurgent Notes